mercoledì 4 luglio 2012

Neo - Yttologie 172


Due Amori
Lord Alfred Douglas.

Sognai di stare su un piccolo colle
e un piano ai miei piedi s’apriva simile
a vasto giardino che a suo talento fioriva
di fiori e boccioli. V’erano stagni sognanti
placidi e cupi, e candidi gigli,
sparuti, e crochi, e violette
purpuree e pallide, fritillarie sinuose,
rade presenze fra l’erba in rigoglio, e tra le verdi maglie
occhi blu di vergognose pervinche brillanti nel sole.
E strani fiori v’erano, mai prima saputi,
tinti dai chiari di luna, che Natura 
formò con accorto capriccio, e qui uno
che bevve nei toni sfumanti
d’ un attimo breve al tramonto, steli
d’erba che in centurie di primavere
le stelle nutrirono in guise lente e squisite,
bagnati da odorosa rugiada adunata in coppe
di gigli, che nei raggi di sole hanno visto
solo la gloria di Dio, perché mai un tramonto rovina
l’aria luminosa del cielo. Oltre, inatteso,
un grigio muro di pietra coperto di morbido muschio
s’alzava; e in lunga contemplazione rimasi, affatto stranito
a vedere un luogo sì insolito, dolce, bello,
e mentre io stavo stupito, ecco! Attraverso
il giardino un giovane venne, levò in alto una mano
a schermirsi dal sole, i suoi capelli mossi dal vento
intrecciati di fiori, e nella mano portava
un grappo sanguigno d’uva rigonfia, chiari i suoi occhi
come cristallo, nudo,
bianco come la neve su inaccessibili vette gelate,
rosse le labbra quasi sparse di vino rosso che macchia
suolo di marmo, di calcedonio la fronte.
E venne accanto a me, con labbra socchiuse 
e gentili, mi prese la mano e la bocca baciò, 
e uva mi diede a mangiare, e disse “Dolce amico,
vieni, ti mostrerò le ombre del mondo
e le immagini della vita. Vedi, da Sud
avanza pallido corteo che non ha mai fine”.
Ed ecco! Nel giardino del mio sogno
due giovani scorsi che camminavano su un piano brillante
di luce dorata. Uno pareva gioioso
e bello e fiorente, e una dolce canzone
moveva dalle sue labbra; cantò di graziose fanciulle
e l’amore gioioso di avvenenti ragazzi e ragazze,
luminosi i suoi occhi, e fra gli steli danzanti
dell’erba dorata i suoi piedi per gioia avanzavano in tremito;
e in mano reggeva un liuto d’avorio
con auree corde come chiome di donna,
e cantava con melodiosa voce di flauto
e attorno al suo collo tre ghirlande di rose.
Ma accanto il suo compagno veniva;
triste e dolce, e gli ampi suoi occhi
erano strani d’ un chiarore mirabile, sbarrati
in contemplazione e molti sospiri mandava
che mi commossero, e le sue gote erano bianche ed esangui
come pallidi gigli, e rosse le labbra
come papaveri, e le mani 
continuamente serrava, e il capo
era intrecciato di margherite pallide come labbra di morte.
Un panno purpureo indossava trapunto d’oro
segnato da un grande serpente il cui respiro
era fiamma di fuoco: quando lo vidi,
scoppiai in lacrime e gridai: “Dolce giovane,
dimmi perché, triste ed ansante, tu vaghi
per questi reami di sogno, ti prego il vero di dirmi,
qual è il tuo nome? Rispose: “Amore è il mio nome.”
Poi, subito, il primo a me si rivolse 
E gridò: “Mente: il suo nome è Vergogna.
Ma io sono Amore, ed ero solito stare
da solo in questo giardino, sin quando egli venne,
inatteso, la notte; io sono Amore verace e riempio
i cuori a fanciulli e fanciulle di reciproco ardore.”
Poi fra sospiri l’altro mi disse: “Fa’ ciò che vuoi,
io sono l’Amore che non osa dire il suo nome.”

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