Babel - A.G. Iñárritu
“Non si è cattivi, solo stupidi” è un concetto estrapolato da una delle quattro storie di Babel e riassume, a mio parere, il senso di tutto il film.
Una comunione di incomprensioni è la sintesi di questa avventura di A.G. Iñárritu; ultimo della triade comprendente 21 Grammi e Amores Perros e di chiara chiusura della triade emotiva.
Qui c’è l’incomprensione d’esistere con stranieri fuori e dentro noi; così presi dai nostri bisogni da non vedere quelli altrui … così determinati nelle nostre scelte da non capire le altre, di chi ci sta vicino e di chi ti naviga velatamente vicino.
Si sceglie senza riflettere e, tutto ciò che è certo viene messo in discussione, compromesso, definitivamente compromesso … una stupidità distruttiva, formativa della fine ma che lascia aperti sempre dei nuovi percorsi.
Quattro storie: una coppia che non si ritrova dopo un evento traumatico, una governante che sente suo ciò che solo parzialmente le hanno affidato, due fratelli con un giocattolo di morte, una ragazzina talmente nuda dentro il cuore dall’offrirsi ad ogni costo solo per sentirsi accettata.
Di fondo c’è sempre l’amore negato … in una misura personale, definitiva, che non lascia scampo alle scelte non mediate.
E poi c’è la paura dei sentimenti e la difesa o l’abbandono d’essi senza capire ciò che si rischia … scelte stupide nell'affidarsi ciecamente e la vita che presenta il conto.
Talvolta la nudità forzata della ragazzina è quella che vestiamo quando ci affidiamo integralmente, senza vagliare precedentemente le conseguenze … solo il disperato bisogno di sentirsi vivi ma in una chiave egoistica, senza capire le situazioni create da quel gesto.
Perdersi, per pochi minuti perdersi in “ rottura tra il mondo là fuori e la sua rappresentazione nel cervello” come affermava Scholz … rivestirsi d’una nudità persa e della comprensione farne forza per un slow learning .
Lentamente capire … lentamente rivestirsi.
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