She … lei affibbiata al suo tailleur stretto in vita color biscotto … lei che non è lei, in attesa salvifica d’un pomeriggio d'estate in bermuda, conta le supplici pieghe del suo corpo e le rende un mistero.
Lei che dice cazzo a facebook ma s’addentra in twitter … lei è lei e, attenti lettori, quella lei non sono io … non peccate di vaghezza e presunzione che per quello c’è già il vostro narratore … lo giuro sulla gibson che ho accarezzato sabato sera e per tutto il desiderio che ho di perdermi fra bluesman disperati alla ricerca d’una donna da contagiare.
Lei non assomiglia ad un giro di blues, non sa nemmeno cos’è il blues: una donna che non conosce il blues non è degna d’una sottana di pizzo … di quel fragile e innocente pizzo che ti bacia la pelle e ti rende disponibile a dire di No e a non subire ricatti.
Lei biascica parole e stride sotto il peso delle stesse … lei porta le calze in agosto … lei non sa cos’è l’intimo fake ed è incredibilmente frigida.
Lei mi chiede se lo sono anch’io … lei vuole una confidenza che non merita … accenno un sorriso e abbasso lo sguardo … non le rispondo: ciò la fa montare in rabbia e in disperazione.
Lei non merita ciò che penso, lo annegherebbe in ettolitri di vino e lo racconterebbe ad un commesso viaggiatore con cui dovrà, da contratto, fare una scopata … lei non è me … lei vorrebbe esserlo ma non lo è.
Affoga le sue parole nei suoi sussurri pensando d’annoiare di meno e, talvolta, ci riesce … la sua voce crepita come un fuoco al mattino... in un mattino di montagna con il freddo che urla alle porte … brucia ossigeno e lo sottrae alla comunità.
Lei mi dice che lei è she e porta la esse nel collant … le accenno un sorriso e le dico sempre “... vuoi qualcosa?” … mi chiama per nulla … alimenta una nevrosi che non ha e se ne fa cruccio.
Lei odia il mio modo di parlare con i bambini … mi dice che sono materna … loro sono gravi, diversi, soli … lei è stronza e non so quale malattia sia la peggiore.
Lei è chiusa in una stanza e piange sul tailleur color biscotto … il rimmel lo ha già segnato … lei vuole parlarmi … she non mi dice nulla nemmeno stavolta … rimango ad osservare l’ultima lacrima che impatta sul colletto e lei macina qualcosa …. “… parlami come fai a loro” … non capisco cosa desideri … non voglio aiutarla, non mi va …. Mi giro per andarmene ed ancora riparte la richiesta … le sbatto in faccia solo un perché ... sua madre è morta e lei è tornata bambina … sua madre l’ha amata … adesso lei ha perso la sua esse in qualche collant … adesso è come gli altri … le leggo una storia banale, stupida, infantile … e lei si tranquillizza, le parlo come faccio a loro e le accarezzo la testa … mi chiede se anch’io soffrissi per qualcosa ed è innegabile che in quel momento, in quell’esatto momento, ero diventata sua madre.
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