Andra Ausberg
Il nome non esalta la sua
genialità: manca un clitico che ne aggiunga valore, come un “lì” ad esempio.
Andra, poni un accento nell’ultima vocale e ne cambierà la vocazione
palindroma: Andrà e il clitico “lì” … dove andrà?
Racchiusa dentro la stanza che
abita, non conosce il mondo e, pertanto,
non si meraviglia della sua estranea esistenza.
Andra si conosce già o forse si
conoscerà per tempo: ignora i suoi riflessi, gli esseri che vagamente respirano
la sua stessa polvere; lei si assomiglia, come tutti noi del resto, ma non ha
bisogno di farsi tutte le nostre domande: la sua sintesi biologica lascia
spazio alla familiarità che non le è stata messa a parte o ad un tratto - forse un segno – di un intero frammento
d’estranei che respirano per se stessi o che, in un passato, si sono certamente
adoperati a farlo esclusivamente per se.
Conosce i muri della sua stanza e
ne intuisce la tinta che un giorno vi e’ appartenuta; conta i mattoni senza
malta e poi li paragona al numero di quelli coperti, o anche cementati, e poi
elabora un nuovo algoritmo per scoprire che quella stanza, posta in un qualche strano
edificio, collocato in una parte ignota del mondo, potrebbe anche crollarle addosso
ma di lei, neanche allora, si scoprirà traccia: una negata esistenza.
Prigione è la vita quando non è sufficientemente
desiderata, imposta o forse non capita; Andra è nata ed è tutto quello che sa
di lei.
Non credo desiderasse sapere da
chi fosse nata ma, in fondo, chi vorrebbe sapere se i mattoni tutt’intorno sono
stati edificati per volontà o per caso? Era lei, forse, frutto di una volontà?
Andra, andrà via un giorno, ma come
figlia le spetterà comunque una sua dimensione:
donna, madre, latte infantile, preghiera della sera, appoggio e anche
caduta: la donna, certamente anche questo, ma diventare madre potrebbe segnarla ancora di
più.
Il suo inizio si chiamava Leò; non
parlava, non la guardava, non sapeva di essere madre e i suoi occhi fissavano il
vuoto, trovandovi a pieno il significato di
tutta una vita, chiaramente la propria.
Sua madre, era una compagna di giochi grande che, nel suo ciclico dondolarsi, cercava nella figlia una
madre per se.
Figlia del suo figlio, elaborazione mentale di un incesto ma, come madre, un universo lontano.
Andra intuiva il ruotare ciclico del tempo dalla
temperatura dei mattoni, dalla calce sfaldata dai rumori sottili che
confessavano una vita in assoluta risposta alle attese di due recluse; fra
dentro e fuori si mediava un rapporto inferiore con la sopravvivenza fatto spesso
di lampi e catene, ululati sordi, scricchiolii disambigui con tanto di serrato
e florido silenzio.