domenica 12 aprile 2015

Rispecchiamento 20

Il mio racconto a puntate per Twitter ...


Andra Ausberg


Il nome non esalta la sua genialità: manca un clitico che ne aggiunga valore, come un “lì” ad esempio. Andra, poni un accento nell’ultima vocale e ne cambierà la vocazione palindroma: Andrà e il clitico “lì” … dove andrà?
Racchiusa dentro la stanza che abita, non conosce il mondo e, pertanto,  non si meraviglia della sua estranea esistenza.

Andra si conosce già o forse si conoscerà per tempo: ignora i suoi riflessi, gli esseri che vagamente respirano la sua stessa polvere; lei si assomiglia, come tutti noi del resto, ma non ha bisogno di farsi tutte le nostre domande: la sua sintesi biologica lascia spazio alla familiarità che non le è stata messa a parte o ad un tratto  - forse un segno – di un intero frammento d’estranei che respirano per se stessi o che, in un passato, si sono certamente adoperati a farlo esclusivamente per se.

Conosce i muri della sua stanza e ne intuisce la tinta che un giorno vi e’ appartenuta; conta i mattoni senza malta e poi li paragona al numero di quelli coperti, o anche cementati, e poi elabora un nuovo algoritmo per scoprire che quella stanza, posta in un qualche strano edificio, collocato in una parte ignota del mondo, potrebbe anche crollarle addosso ma di lei, neanche allora, si scoprirà traccia: una  negata esistenza.

Prigione è la vita quando non è sufficientemente desiderata, imposta o forse non capita; Andra è nata ed è tutto quello che sa di lei.
Non credo desiderasse sapere da chi fosse nata ma, in fondo, chi vorrebbe sapere se i mattoni tutt’intorno sono stati edificati per volontà o per caso? Era lei, forse, frutto di una volontà?
Andra, andrà via un giorno, ma come figlia le spetterà comunque una sua dimensione: donna, madre, latte infantile, preghiera della sera, appoggio e anche caduta: la donna, certamente anche questo, ma diventare madre potrebbe segnarla ancora di più.
Il suo inizio si chiamava Leò; non parlava, non la guardava, non sapeva di essere madre e i suoi occhi fissavano il vuoto, trovandovi a pieno il significato di tutta una vita, chiaramente la propria.
Sua madre, era una compagna di giochi grande che, nel suo ciclico dondolarsi, cercava nella figlia una madre per se.
Figlia del suo figlio, elaborazione mentale di un incesto ma, come madre, un universo lontano.
Andra intuiva il ruotare ciclico del tempo dalla temperatura dei mattoni, dalla calce sfaldata dai rumori sottili che confessavano una vita in assoluta risposta alle attese di due recluse; fra dentro e fuori si mediava un rapporto inferiore con la sopravvivenza fatto spesso di lampi e catene, ululati sordi, scricchiolii disambigui con tanto di serrato e florido silenzio.





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