La sala dei Dibuk
All'improvviso mi ritrovai con un
informatore sconosciuto e con una sala per feste grande, mirabolante, nobiliare
e con un prezzo irrisorio. Non credevo a ciò che sentivo e con penna in mano e
certezza d’aver trovato il giusto sentivo che mi si dice chiaramente <<
Sono stata li qualche sera fa …>> chiudo l’appunto, esulto in
silenzio come son solita fare, e non vedo l’ora di prendere accordi per poter
festeggiare alla grande e con classe senza dover spendere cifre che non
possedevo. Giunti sul luogo, nella centralissima viabene della mia città,
trovo un giardino incolto, un grosso catenaccio in un portoncino arrugginito e
nessun nome e nessun appunto esposto fuori porta, in vista per probabili affittuari
della sala. Non mi rassegno all’amarezza di un ennesimo sogno tradito e quando
l’evidenza sfonda la certezza qualche volta è meglio non crederci e
afflosciarsi nel probabile che è da sempre il miglior amico delle donne;
chiedo, mi giro, fermo passanti e il loro silenzio è sempre affermativo quasi
come uno schiaffo ma, non mi rassegnai. Freddo gelido attorno ad un sole
chiaramente caldo e poi becco un detentore della verità << il salone? Quali
feste signora … è abbandonata dal ’55 e non vi sono eredi, è una villa non
affidata a nessuno perché non c’è nessuno a cui affidarla!>> non mi sento raggirata ma solo visitata
e adescata da un dibuk che nella sua poca pace trascina le possibilità altrui oltre che le sue. Qualche sera fa lo sconosciuto dibuk era stato invitato in
una festa in un antico salone, chissà se è rimasto per sempre a ballare lì il suo
tempo? Riafferrai la borsa, mi girai sui miei tormenti e decisi di festeggiare
con preziosi tovaglioli di carta nell’angolo mignon della mia cucina. Era il
giusto e bastava poco per pensarci prima.